
Dopo il rilancio della produzione interna e l’intesa con l’Ucraina, gli Stati Uniti siglano un nuovo accordo con l’Australia per ridurre la dipendenza da Pechino, che oggi fornisce circa il 90% delle terre rare raffinate. Si tratta di un tassello strategico nella corsa globale alle risorse critiche.
“È proprio vero che le restrizioni si ritorcono contro chi le impone”, ha detto recentemente Jensen Huang, CEO di NVIDIA, riferendosi al divieto imposto dagli Stati Uniti di esportare chip avanzati verso la Cina. Quel provvedimento, pensato per indebolire l’industria tecnologica cinese, ha avuto un effetto collaterale significativo: ha danneggiato alcune aziende americane e, allo stesso tempo, ha spinto Pechino ad accelerare i propri piani per raggiungere l’autosufficienza nel settore dei semiconduttori.
Un meccanismo simile – ma a parti invertite – sta prendendo forma nel settore delle terre rare, dove la Cina controlla circa il 70% dell’estrazione mondiale e il 90% della raffinazione di questi materiali strategici, indispensabili per applicazioni che vanno dalla difesa alle automobili elettriche, fino ai chip dei computer.
Negli ultimi mesi Pechino ha iniziato a utilizzare questa posizione dominante come un’arma geopolitica, inasprendo i controlli e introducendo nuove e pesanti restrizioni all’export. In risposta, gli Stati Uniti hanno messo in campo un piano ampio e articolato per ridurre la propria vulnerabilità strategica, con alleanze internazionali, incentivi interni e una corsa ad alternative tecnologiche e industriali.
L’ultimo tassello è l’accordo con l’Australia, firmato ieri, che attiva una corsia di finanziamenti pubblici e garanzie per progetti minerari e impianti di separazione.
Cosa prevede l’intesa USA-Australia
L’accordo, annunciato a Washington e presentato come “storico”, mette sul tavolo miliardi per sostenere progetti minerari e di processing: tra le priorità, un impianto di gallio collegato alle attività Alcoa in Australia Occidentale e il sostegno all’Arafura Rare Earths nel Northern Territory. Il pacchetto comprende lettere di intenti e strumenti finanziari che agevolano capitali e debito, con l’obiettivo di innescare investimenti privati su vasta scala. Il mercato ha reagito subito: i titoli delle aziende austrialiane che operano nel settore sono schizzati al rialzo. È un segnale politico e industriale: gli Stati Uniti vogliono costruire, insieme a Canberra, una filiera alternativa credibile nella quale l’Australia fornisca risorse e capacità di raffinazione e gli USA garantiscano domanda, tecnologia e finanza.
Gli altri tasselli: Ucraina, e la rinascita della filiera nazionale
Quello con l’Australia non è un caso isolato. In primavera Washington ha firmato con l’Ucraina un accordo quadro sui minerali critici che prevede cooperazione su estrazione e trasformazione e crea un canale d’investimento per la ricostruzione, con i minerali a fare da volano finanziario. È un pezzo della più ampia strategia di “friend-shoring” che sposta nuove forniture verso Paesi alleati.
A nord del proprio confine, gli Stati Uniti hanno intensificato il sostegno a progetti canadesi tramite il Defense Production Act, con fondi pubblici indirizzati a tungsteno, nichel e terre rare per accorciare le catene e allineare gli standard industriali. Anche qui l’idea è semplice: creare una cintura nordamericana capace di fornire input strategici a industria civile e difesa.
Sul fronte domestico, Washington ha rafforzato il legame con operatori come MP Materials, unica miniera di terre rare su vasta scala negli USA (Mountain Pass), e ha spinto su magneti e separazione con una partnership pubblico-privata guidata dal Dipartimento della Difesa per costruire una filiera “end-to-end” che includa nuove capacità in Texas. L’obiettivo è chiudere l’anello: estrarre, separare, e produrre magneti senza passaggi obbligati in Asia.
La mossa cinese e la risposta occidentale
Nel frattempo Pechino ha inasprito il quadro regolatorio su esportazioni e tecnologie connesse alle terre rare, toccando anche applicazioni per semiconduttori avanzati. Lo strappo ha aumentato la volatilità dei mercati e ha accelerato i piani di diversificazione di Stati Uniti e alleati, oltre a minacce di ritorsioni da parte americana. Il segnale che arriva da Washington e Canberra è che la de-risking strategy non è solo retorica, ma si traduce in capex e strumenti finanziari dedicati.
Persino gli oceani entrano nel gioco
Parallelamente, l’amministrazione statunitense ha indicato un interesse strategico a lungo termine per le risorse del fondale marino, citando la necessità di rafforzare la leadership scientifica e tecnologica negli spazi marittimi. È un capitolo controverso – tra diritto del mare e impatti ambientali – ma segnala che, nel lungo periodo, la caccia ai minerali critici potrebbe spostarsi anche offshore. I dossier al Congresso mostrano come gli USA, pur non avendo ratificato l’UNCLOS, stiano valutando il quadro normativo e tecnologico per non restare indietro.
Quanto tempo servirà
La nuova architettura di fornitura non nascerà in pochi mesi: tra permessi, impianti e ramp-up, la capacità di raffinazione e la produzione di magneti impiegano anni a maturare. Ma la traiettoria è tracciata: accordi bilaterali con partner ricchi di risorse, sostegno pubblico a impianti di separazione e metallizzazione, integrazione con l’industria della difesa e incentivi alla domanda domestica.
Soprattutto tanti soldi.
È il modo in cui Washington prova a disinnescare l’arma delle restrizioni cinesi – e, al contempo, a ridurre la vulnerabilità delle sue catene del valore.
Europa e terre rare
Anche l’Europa considera le terre rare una priorità strategica e riconosce la sua forte dipendenza dalla Cina per la fornitura come un punto di vulnerabilità. Per ridurre questo rischio, l’Unione Europea dovrebbe accelerare sull’esplorazione dei giacimenti e sulla creazione di una capacità di lavorazione locale, investendo risorse finanziarie significative, così come stanno facendo gli Stati Uniti. Anche in questo caso, tuttavia, nella migliore tradizione europea, come primo passo la Commissione ha prodotto un documento programmatico – il Regolamento sulle materie prime critiche – che dovrebbe guidare e coordinare l’azione dei Paesi membri, con un’attenzione particolare al riciclo. Come spesso accade a Bruxelles, tante parole ma pochi soldi.


