Sulla crisi di vendite che ha colpito STMicroelectronics, è intervenuto ieri Alessandro Aresu con una serie di considerazioni che vale la pena approfondire e ampliare.
In attesa dell’incontro tra i vertici dell’azienda e i sindacati, previsto per giovedì prossimo, e dopo le prime manifestazioni di protesta dei lavoratori davanti agli ingressi degli stabilimenti di Agrate e Catania, continua il dibattito sulle cause della crisi di STMicroelectronics e sulle possibili soluzioni; tutto ciò in considerazione dell’importanza strategica dell’industria dei semiconduttori, ma anche in relazione alle possibili conseguenze occupazionali nel nostro Paese, dove ST, lo ricordiamo, dà lavoro a circa 13 mila persone.
Nel dibattito è intervenuto ieri anche Alessandro Aresu, analista geopolitico ed esperto di strategie e politiche pubbliche, con un’interessante analisi che potete leggere qui.
La tesi di Aresu, secondo cui l’attuale crisi di STMicroelectronics è dovuta principalmente al forte calo del mercato di riferimento, quello automobilistico, non può che trovarci d’accordo. Insieme a questo mercato, è entrato in crisi anche quello industriale (in realtà lo era già da prima), fortemente connesso con quello automobilistico. Questi due mercati, che rappresentano per ST quasi il 70% delle entrate, sono calati nel 2024 del 49% (industrial) e del 14% (automotive).
Tuttavia, se guardiamo le statistiche della produzione automobilistica mondiale, scopriamo che nel 2024 sono state prodotte 77 milioni di vetture, in crescita rispetto al dato del 2023 di 75,3 milioni di vetture prodotte. Per di più, come sappiamo, il numero di componenti elettronici presenti all’interno delle nuove automobili continua ad aumentare anno dopo anno, e le vetture elettriche (cresciute a 17,1 milioni nel 2024 contro 13,7 milioni nel 2023) ne contengono ancora di più. Nel 2024 è aumentato notevolmente anche il fatturato dell’industria automobilistica globale.
Come si spiega, allora, questo forte calo delle vendite di semiconduttori nonostante la crescita del numero di vetture prodotte?
La risposta, secondo noi, arriva dall’andamento delle vendite di semiconduttori negli anni post-Covid, ovvero nel 2022 e nel 2023. In questo periodo, dopo la carenza di chip, c’è stato un vero e proprio boom di vendite, con OEM, Tier1 e distributori che hanno riempito i magazzini per mettersi al riparo da eventuali problemi di fornitura: in poco tempo si è passati dal just-in-time ai magazzini stracolmi. Le vendite di semiconduttori sono aumentate in termini quantitativi (con la capacità degli impianti che ha toccato tassi di utilizzo dell’80-90%), ma ancor di più sono cresciuti i prezzi, come sempre accade nei periodi di forte richiesta. L’effetto è stato un robusto, quanto inaspettato, incremento del fatturato, del margine operativo lordo e degli utili, come evidenziato nel seguente grafico.
Insieme a ST, anche tutte le altre aziende del comparto hanno registrato un andamento simile, così come il settore della distribuzione. È interessante osservare come il grafico dell’andamento del fatturato di STMicroelectronics sia pressoché uguale, ad esempio, all’andamento delle vendite di semiconduttori della distribuzione europea, di cui ci siamo occupati recentemente.
Questi grafici evidenziano come gli anni 2022 e 2023 rappresentino un’anomalia unica, un caso a sé stante, che non possiamo fare rientrare nel tradizionale andamento ciclico delle vendite di semiconduttori. Dopo aver riempito i magazzini, le richieste di semiconduttori da parte dei produttori di auto e della distribuzione sono tornate a livelli normali, con un trend di crescita tipico di un mercato maturo.
Per quanto riguarda STMicroelectronics, il trend di crescita previsto dai vertici della società non più tardi di un anno fa – basato sull’andamento degli anni 2022/2023 – alla luce di queste considerazioni appare poco realistico. Il CAGR implicito nelle previsioni di allora della società risulta essere compreso tra l’8 e il 10 percento; in realtà, per le considerazioni appena fatte, sarà pari alla metà o poco più.
Sulla base di queste previsioni, nonché in considerazione dell’aumento degli utili e della possibilità di accedere a forti contributi pubblici, STMicroelectronics ha annunciato una serie di importanti iniziative necessarie a sostenere il trend di crescita ipotizzato. Tra queste, ricordiamo l’accordo (ormai accantonato) con GlobalFoundries per la costruzione di un nuovo fab da 300 mm a Crolles, in Francia, e il nuovo fab integrato per dispositivi SiC di Catania con un investimento di 5 miliardi di euro.
Tra le nuove iniziative (ancorché l’annuncio risalga al 2018) segnaliamo anche il nuovo fab R3 da 300 mm in fase di completamento ad Agrate Brianza, l’espansione dello stabilimento ST di Crolles, in Francia, e gli investimenti in Cina (di cui ci occuperemo in seguito).
Il ritorno ad un periodo di “normalità” della domanda di semiconduttori (almeno di quelli prodotti da ST) con il calo del fatturato e degli utili, mette in pericolo tutti questi investimenti, sicuramente sovradimensionati rispetto alla realtà del mercato.
Un altro problema che assilla STMicroelectronics è la scarsa redditività, messa in evidenza anche da Alessandro Aresu nel suo articolo.
Con livelli di fatturato di 13/14 miliardi, il margine lordo (dal quale si arriva poi a cascata fino all’utile netto, alla generazione di cassa, ecc.), è inferiore al 40%, assolutamente inadeguato a sostenere gli investimenti dell’azienda e a garantire una corretta remunerazione agli azionisti.
Nei momenti di forte calo delle vendite, come quello che sta vivendo ST, il margine scende ulteriormente a causa dei costi fissi che restano costanti, con la reale possibilità che i bilanci chiudano in rosso.
Nell’industria dei semiconduttori il margine lordo dipende da due fattori: la produttività e la qualità dei chip fabbricati.
La produttività dipende dalle prestazioni degli impianti e dal loro livello di automazione. L’esempio classico che si fa in questi casi è quello della produzione in volumi di dispositivi in silicio mediante linee da 300 mm anziché da 200 mm, che consente di ottenere lo stesso prodotto finale con un risparmio del 30-40%. Ovviamente la capacità produttiva deve essere adeguata alla domanda in modo da garantire un tasso di utilizzo degli impianti di almeno l’80%.
Ancora più importante è la qualità e il livello di innovazione dei chip prodotti, da cui deriva la possibilità di richiedere un prezzo più alto per i propri dispositivi.
Da questo punto di vista, un esempio eclatante è quello di NVIDIA che, grazie alla unicità dei propri chip e alla forte richiesta, riesce ad ottenere un margine lordo del 70-75% in virtù dei prezzi particolarmente elevati delle proprie GPU.
Su entrambi i fronti – produttività e qualità dei chip prodotti – ST non è riuscita negli ultimi anni (salvo pochi casi) a fare quel balzo di qualità necessario ad incrementare, a parità di fatturato, il margine lordo di almeno 10-15 punti percentuali per allinearsi a quello dei principali competitor.
Il tutto, al netto delle condizioni in cui opera ST in Italia e Francia (costo del lavoro, costo dell’energia, fiscalità, quadro normativo generale, ecc.).
La svolta cinese di STMIcroelectronics
Di questo argomento ci siamo occupati più volte, e anche in questo caso concordiamo con l’opinione di Alessandro Aresu, che sostiene come nel lungo periodo questa strategia sia perdente: “Per quanto riguarda la collaborazione con la Cina, su cui c’è stata una joint venture, io sono comunque contrario: l’obiettivo cinese è sempre internalizzare, per loro si è sempre e solo un taxi per arrivarci prima, qualunque garanzia venga data.”
A questa considerazione, va aggiunto il danno quasi immediato che deriva alla produzione in Italia e in Francia, con le conseguenti ricadute sul livello occupazionale.
La strategia China-for-China annunciata da STMicroelectronics intende mantenere la quota di mercato in Cina dell’azienda (attualmente superiore al 20%) fabbricando in loco i chip grazie ad accordi con le foundry locali ed investimenti specifici.
La motivazione dell’azienda è molto semplice: “O così, o perdiamo quel mercato”.
Anche ammesso che ciò sia vero, e che nel complesso l’azienda possa trarre un beneficio finanziario da una strategia del genere, è evidente che affidare parte della produzione a partner cinesi azzopperà la capacità produttiva italiana e francese. Se la produzione di chip in Italia e in Francia è già in sofferenza per il calo della domanda generale, eliminare anche la quota di chip destinata alla Cina riduce ulteriormente l’attività delle fabbriche europee.
Un altro problema riguarda le reazioni della politica e dei sindacati. In un periodo in cui l’azienda si avvia ad affrontare un forte calo degli utili e della generazione di cassa, con problemi anche sul fronte occupazionale, la strategia China-for-China e gli investimenti in Cina come la joint-venture con Sanan alimenterà sicuramente una forte opposizione da parte della politica e delle organizzazioni sindacali. A maggior ragione per il fatto che STMicroelectronics è una società controllata pariteticamente dallo stato italiano e da quello francese che dispongono complessivamente di un pacchetto azionario del 27,5%.
Meglio avrebbe fatto ST, come suggerisce anche Alessandro Aresu, a supportare lo sbarco di TSMC in Europa. La società taiwanese, infatti, realizzerà a Dresda, in Germania, una fonderia per chip ad alte prestazioni da 300 mm con nodo di processo a 28/22 nm e 16/12 nm utilizzando la tecnologia FinFET.
A tale scopo è stata costituita una nuova società, ESMC, alla quale partecipano con una quota del 10% ciascuna i principali competitor di ST, ovvero Infineon, NXP e Bosch.
Questa fonderia garantirà la base produttiva per i chip automobilistici avanzati sui quali queste aziende continueranno a competere tra loro in futuro. Ed esserci sarebbe stato meglio.