giovedì, Aprile 25, 2024
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Intel in Italia: ce la farà Giorgia Meloni dove non è riuscito Mario Draghi?

Nella conferenza stampa di fine anno, Giorgia Meloni ha detto che chiederà un incontro con i vertici di Intel per capire se c’è ancora la volontà dell’azienda americana di realizzare nel nostro paese l’impianto di packaging avanzato del quale si parla da quasi un anno.

Nel marzo dell’anno scorso, Intel annunciava un piano per incrementare la propria capacità produttiva di semiconduttori sia negli Stati Uniti che in Europa, con un investimento di ben 33 miliardi di euro solamente nel Vecchio Continente. Il progetto prevedeva di portare in Europa la produzione di chip avanzati e contava sull’appoggio finanziario dei vari Stati e della Commissione europea che era in procinto di varare l’European Chips Act con sovvenzioni per circa 43 miliardi di euro a favore dell’industria dei semiconduttori.

Per il nostro paese, Intel era stata piuttosto vaga, parlando di un “potenziale investimento” fino a 4,5 miliardi di euro con la possibilità di creare 1.500 posti di lavoro diretti e 3.500 nell’indotto, e con l’inizio dell’attività fissato tra il 2025 e il 2027. Al contrario, i piani di investimento previsti per altri paesi erano molto precisi e circostanziati, nonostante il governo italiano fosse stato uno dei primi ad approvare una legge che erogava 4,15 miliardi di euro a sostegno della microelettronica, un provvedimento che sembrava fatto su misura per Intel.

Da allora, in pochi mesi, “è cambiato il mondo”.

La fine della pandemia e del lavoro da remoto ha provocato un forte calo delle vendite di PC e smartphone mettendo in grave crisi Intel e le aziende che producono chip di memoria; insieme alla guerra in Ucraina è esplosa l’inflazione, costringendo le Banche centrali di tutto il mondo ad alzare i tassi di interesse, col rischio di tarpare le ali alla ripresa economica del dopo-Covid; infine, l’aumento dei prezzi dell’energia ha colpito duramente imprese e famiglie.

Col risultato che il tema della nuova fabbrica di Intel è passato in secondo piano e, ufficialmente, non se ne è saputo più nulla, salvo una serie di indiscrezioni sulle trattative in corso e sulla lotta tra le regioni per accaparrarsi il ghiotto boccone. Le indiscrezioni riferiscono di feroci scontri tra fautori della scelta meridionalista e quelli che volevano portare la fabbrica al Nord, con pesanti accuse al ministro leghista Giorgetti, ma anche con una lotta fratricida tra nordisti del Piemonte e del Veneto. Il tutto a suon di ulteriori agevolazioni e sussidi messi sul piatto dalle regioni. Alla fine, sembrava che il Veneto fosse riuscito a sbaragliare la concorrenza e la Reuters aveva addirittura rivelato il nome della località dove sarebbe sorto l’impianto: il piccolo comune di Vigasio, in provincia di Verona.

È stata proprio una giornalista della Reuters a tornare sull’argomento durante la conferenza stampa di fine anno, chiedendo al neo Presidente del Consiglio che fine avesse fatto l’iniziativa di Intel e se era in grado di confermare la scelta di Vigasio per la sede dell’impianto.

Sulla località Giorgia Meloni non ha dato alcuna risposta ma ha confermato che il dossier era ancora aperto e che presto chiederà un incontro con Intel per capire le intenzioni dell’azienda.“… da parte nostra c’è la massima disponibilità, io sto proprio in queste ore cercando di calendarizzare un incontro con i rappresentanti di Intel per capire come possiamo facilitare questa decisione, cosa possiamo fare per favorire questo investimento e per capire se viene confermata la volontà dell’azienda e quali sono i presupposti. Sarà una delle prime cose sulle quali lavorerò nei prossimi giorni.”

Di seguito, il video della conferenza stampa con la domanda della giornalista della Reuters e la risposta di Giorgia Meloni:

Dalla risposta traspare il poco tempo che il nuovo governo, impegnato con la finanziaria, ha potuto dedicare al dossier, ma anche la volontà di arrivare al dunque al più presto.

In precedenza, Giorgia Meloni aveva parlato dello scontro commerciale in atto tra Stati Uniti e Cina, delle catene di approvvigionamento, dell’autosufficienza energetica e dell’inadeguatezza delle procedure e delle politiche messe in atto dalla Comunità europea in questo campo.

“… non possiamo continuare con le norme che abbiamo oggi a livello europeo in tema di aiuti di Stato e in tema di Fondi che si spendono per mettere in sicurezza le nostre aziende, anche in riferimento ai tempi delle decisioni.

“…credo che si debba ripartire dalla ridefinizione della catena di approvvigionamento ovvero di questa globalizzazione senza regole che eravamo convinti che ci avrebbe salvato, quel libero commercio senza regole e senza condizioni che avrebbe distribuito ricchezza e avrebbe democratizzato i sistemi autoritari. Segnalo che è successo esattamente il contrario con la ricchezza che si è concentrata verso l’alto e i regimi autocratici che si sono rafforzati e involuti mentre noi ci siamo indeboliti perché dipendiamo da altri. Oggi lo vediamo con l’energia ma lo stesso è già successo con i chip, i principi attivi dei farmaci e i pannelli fotovoltaici… Oggi la sfida è darsi degli obiettivi strategici, e per l’Europa il primo di questi è controllare le catene da approvvigionamento che sono fondamentali per non dipendere dal famoso battito di ali di farfalla dall’altra parte del mondo… quando c’è stato il Covid noi dipendevamo dai chip cinesi con la Cina che ha privilegiato il mercato interno fermando le nostre catene di approvvigionamento. Dobbiamo riprende il controllo sulle catene di fornitura dei chip e dei componenti che servono a produrre energie rinnovabili per non passare dalla dipendenza verso la Russia a quella verso la Cina”.

Per quanto riguarda Intel, sicuramente non è un buon momento per la società che da questa estate sta affrontando un forte calo della domanda che ha avuto un significativo impatto sulle entrate e sui risultati finanziari. L’azienda si è vista costretta a tagliare costi ed investimenti, ricorrendo anche a riduzioni di personale e congedi obbligatori non retribuiti.

A questo punto Intel rischia seriamente di non avere le risorse né per attuare gli investimenti annunciati, né per fare quel salto tecnologico che le consentirebbe di ritornare ad essere l’azienda leader del settore. Sicuramente Intel dovrà rallentare o posticipare alcuni investimenti; altri, probabilmente, verranno annullati.

Non è difficile prevedere che Intel darà la priorità agli investimenti americani e, per quanto riguarda l’Europa, a quelli praticamente già ultimati, come il sito irlandese di Leixlip.

In bilico anche il mega-fab di Magdeburgo sul quale sono già circolate voci di possibili ritardi (peraltro smentite dall’azienda).

Cattive notizie arrivano anche dal fronte dell’offerta di fonderia a contratto, dopo l’annuncio di TSMC di voler aprire un secondo impianto negli Stati Uniti per un investimento complessivo di circa 40 miliardi di dollari, e dopo che società come Apple, AMD e Tesla hanno dichiarato di voler utilizzare i fab americani di TSMC per produrre i loro chip. Alcuni  dei nuovi impianti di Intel avrebbero dovuto supportare le ambizioni dell’azienda di entrare nel mercato delle fonderie, in concorrenza con TSMC, Samsung e GlobalFoundries.

A questo punto è verosimile che il progetto italiano di Intel venga annullato o posticipato, spostando nel sito di Magdeburgo anche le attività di packaging. Probabilmente non sapremo nulla prima della diffusione della trimestrale e del bilancio annuale di Intel, che verrà rilasciato il 25 gennaio, insieme ad un aggiornamento della roadmap dell’azienda.

Nella speranza che nel frattempo Giorgia Meloni riesca a convincere gli americani della fattibilità del progetto italiano.