martedì, Maggio 7, 2024
HomeAZIENDEAttualitàTSMC, la migliore garanzia per la pace nel mondo

TSMC, la migliore garanzia per la pace nel mondo

Immagine: Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC)

L’esistenza di una forte industria dei semiconduttori a Taiwan rappresenta la migliore garanzia per l’indipendenza dell’isola e il più grande deterrente nei confronti di un intervento armato della Cina.

In un recente discorso, Morris Chang, l’ormai novantenne fondatore di TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), ha paragonato l’azienda da lui fondata ad una enorme montagna in grado di proteggere la propria nazione, ovvero l’isola di Taiwan, che si trova al centro dell’area geografica dove si è spostato il confronto tra le superpotenze, quella nascente, la Cina, e quella che ha dominato il mondo negli ultimi decenni, ovvero gli Stati Uniti.

Fin dalla sua nascita nel 1949, il governo della Repubblica Popolare di Cina reclama la sovranità sull’isola di Taiwan (o Formosa come la battezzarono i portoghesi), considerata una provincia ribelle, e separata dalla terraferma da una striscia di mare larga circa 150 chilometri.

Per quanti non conoscono o hanno dimenticato le vicende storiche di questa regione, ricordiamo che la creazione di uno stato indipendente sull’isola di Taiwan è la conseguenza della guerra civile che insanguinò la Cina dal 1946 al 1949 e che si concluse con la vittoria dei seguaci del Partito Comunista Cinese (PCC) guidati da Mao Zedong, che conquistarono l’intera Cina continentale e diedero vita alla Repubblica Popolare di Cina (PRC). I sostenitori del governo nazionalista di allora, guidati da Chiang Kai-shek, sconfitti e in rotta, si rifugiarono sull’isola di Taiwan, dove fondarono la Repubblica di Cina con capitale Taipei, affermando di rappresentare il governo legittimo dell’intera Cina.

Negli anni seguenti, nonostante vari incidenti e scontri spesso sanguinosi, si giunse ad una tregua di fatto tra i due contendenti, grazie anche alla presenza militare americana che aveva sostenuto Taiwan (e la Corea) al fine di contrastare l’espansionismo comunista.

Il resto è storia recente. Taiwan, grande come la Sardegna e la Corsica messe assieme e con una popolazione di circa 24 milioni di abitanti, è diventata una democrazia a tutti gli effetti e ha sviluppato un’economia che ha consentito al paese di raggiungere un livello di benessere paragonabile a quello dei paesi occidentali. La Cina, ovvero la Repubblica Popolare di Cina, è rimasta un paese autoritario, ma da quando si è aperta al libero mercato (nei limiti imposti dal Partito Comunista al potere) è stata protagonista di un fortissimo sviluppo economico diventando la seconda potenza al mondo dopo gli Stati Uniti, pur con un PIL pro capite che, ad oggi, è ancora un terzo di quello di Taiwan e un sesto di quello americano.

Negli ultimi decenni, il governo di Pechino, sfruttando il suo crescente peso economico e politico, è riuscito a farsi riconoscere dalla maggior parte degli Stati sovrani e dall’ONU quale unico governo legittimo della Cina. Persino gli Stati Uniti, pur continuando ad appoggiare Taiwan, hanno riconosciuto nel 1979 (amministrazione Carter) il governo di Pechino.

L’importanza strategica dell’isola di Taiwan

L’isola di Taiwan fa parte di quella che viene definita la “prima catena di isole”, una sorta di enorme barriera corallina che circonda la Cina e che ne impedisce una facile proiezione militare verso l’Oceano Pacifico. Tutte le isole di questa cintura appartengono a paesi alleati degli Stati Uniti.

La prima e la seconda catena di isole al largo della Cina. Fonte: Catama (2015)

Se osserviamo la cartina di quell’area, notiamo una prima barriera naturale rappresentata dal Giappone; scendendo verso il basso, troviamo una serie d piccole isole (Okinawa, Ishigaki, ecc.) che appartengono al Giappone e che si estendono fino all’isola di Taiwan. Altre piccole isole si allungano dal sud di Taiwan fino alle Filippine a presidio dello stretto di Luzon.

Per controllare i movimenti della flotta cinese (ma anche del traffico mercantile diretto verso i porti cinesi, della Corea e del Giappone) è sufficiente, dunque, controllare questi pochi passaggi. Un vantaggio non da poco, specie in caso di conflitto.

L’annessione di Taiwan da parte della Cina aprirebbe una importante falla in questa cintura di contenimento, dando alla Cina libero accesso al Pacifico, tramite i porti della costa orientale dell’isola.

L’importanza strategica di Taiwan in funzione del contenimento militare della Cina è rappresentata proprio dalla sua posizione geografica in quell’area.

La recente decisione dell’Australia (e le relative polemiche con la Francia per un importante contratto di fornitura annullato) di dotarsi di moderni sommergibili a propulsione nucleare, nasce proprio dalla necessità di controllare questi passaggi; la scelta di acquistare sommergibili a propulsione nucleare consentirà all’alleanza AUKUS (Australia, Gran Bretagna e Stati Uniti), recentemente costituita, di operare a grande distanza dalle proprie basi, per più tempo e in maniera quasi “invisibile”, cosa impossibile con i sottomarini a propulsione diesel.

La domanda da porsi a questo punto è: sono sufficienti i motivi che abbiamo appena descritto per provocare una reazione militare degli Stati Uniti e dei loro alleati in caso di invasione di Taiwan da parte della Cina (col rischio che il conflitto degeneri in una guerra su scala planetaria)?
Le opinioni su questo punto sono discordi, con la maggior parte degli analisti che ritiene che gli Stati Uniti non rischierebbero un conflitto mondiale per chiudere una falla in un sistema di contenimento che può contare su altre difese come, ad esempio, la seconda catena di isole presenti più al largo (Guam, ecc.).
Su un non-intervento americano peserebbe anche la considerazione che Taiwan rappresenta, dopo tutto, un pezzo della nazione cinese e, con la riconquistata unità territoriale, probabilmente le mire espansionistiche della Cina (almeno di quelle militari) si fermerebbero lì.

Questa convinzione (ovvero che gli USA non interverrebbero) è particolarmente pericolosa in quanto potrebbe incoraggiare i cinesi ad invadere Taiwan.

Le ragioni che, invece, fanno pendere l’ago della bilancia verso un probabile intervento diretto degli Stati Uniti e dei loro alleati sono altre, e riguardano l’importanza di Taiwan per l’economia mondiale, in particolare per quanto riguarda l’industria dei semiconduttori.

Nell corso degli ultimi decenni l’isola si è trasformata in una sorta di fabbrica mondiale per la produzione di chip: da Taiwan proviene il 64% dei chip realizzati per conto terzi che troviamo nei nostri PC, telefonini, linee di comunicazione, Internet, treni e aerei, nelle moderne automobili, negli elettrodomestici e nelle apparecchiature medicali: tutti oggetti con cui abbiamo a che fare quotidianamente.

Il seguente grafico di TrendeForce evidenzia la quota di mercato mondiale dei produttori che realizzano chip per conto terzi:

Fonte: TrendForce, 2020

Ovviamente non esistono solo le fonderie; le IDM, ovvero aziende come Intel, Texas Instruments, STMicroelectronics o Renesas, che progettano e producono al loro interno la maggior parte dei propri chip, hanno ancora un peso notevole.

Anche in questo caso, tuttavia, i semiconduttori prodotti a Taiwan rappresentano il 21,4% dell’intera produzione mondiale di chip, e tutta l’area dell’Indo-Pacifico ricopre un ruolo di primaria importanza con la Corea del Sud al 20,4% e il Giappone al 15,8%.

Fonte IC Insights

Un blocco delle forniture provenienti da Taiwan a causa di un conflitto, metterebbe in ginocchio l’economia mondiale, provocando una crisi molto più grave di quella del petrolio, dei subprime, degli attentati alle torri gemelle o del Covid-19.

Più che il controllo, per quanto importante, di una piccola area geografica del pianeta, è sicuramente questa la ragione che farebbe scattare un intervento degli Stati Uniti e dei suoi alleati in difesa dell’isola di Taiwan.

Di questo sono consapevoli i politici di Pechino, che sanno anche che in una crisi globale scatenata dall’invasione di Taiwan l’economia che subirebbe i maggiori contraccolpi sarebbe proprio quella cinese, fortemente dipendente dalle esportazioni industriali verso il mondo occidentale e dalle importazioni di petrolio, materie prime e generi alimentari.

Non solo. Oggi la Cina importa ogni anno semiconduttori per un valore di oltre 300 miliardi di dollari, indispensabili all’industria manifatturiera locale, industria che crollerebbe come un castello di carte qualora venissero meno queste forniture.

Di tutto ciò sono consapevoli i governanti di Pechino, che difficilmente, allo stato attuale, tenteranno di riconquistare Taiwan con la forza.

La presenza di una avanzata industria dei semiconduttori è dunque la migliore garanzia per un futuro di pace nell’area e, di conseguenza, nel mondo.

Ed è la ragione per la quale il governo di Taipei ha sostenuto e continuerà a sostenere con forza le foundry locali, in particolar modo TSMC, la più grande e la più avanzata di tutte, con una capacità di circa 13 milioni di wafer all’anno da 12 pollici/equivalenti, e con tecnologia con nodo di processo fino a 3 nm (dal prossimo anno), il più avanzato al mondo. Per la stessa ragione, le autorità di Taiwan stanno cercando di scoraggiare l’apertura di stabilimenti taiwanesi al di fuori del territorio nazionale.

Le agevolazioni messe in atto riguardano benefici fiscali, costruzione di infrastrutture di trasporto e servizi, forte sostegno alle università tecniche ed alla ricerca scientifica. Da questo punto di vista, come sostiene Morris Chang, l’ecosistema dell’isola è ideale per lo sviluppo di avanzate aziende hi-tech, grazie anche al coinvolgimento dell’intera società: “Il personale taiwanese, tecnici e ingegneri di TSMC, è formato da persone di grande talento, desideroso di impegnarsi nell’industria manifatturiera. Questo è molto importante. In altri paesi come, ad esempio, gli Stati Uniti, gli ingegneri non sono così interessati a lavorare nelle industrie, e i giovani preferiscono seguire corsi di studi in altri campi, nella finanza o nel marketing. La gente non vuole lavorare nell’industria manifatturiera. L’impegno nella produzione è un grande vantaggio di Taiwan.

Attitudini che, aggiungiamo noi, derivano anche dall’influenza del confucianesimo.

Morris Chang, fondatore di TSMC. Credito: I-HWA CHENG/BLOOMBERG NEWS

Da parte loro, TSMC, UMC e le altre fonderie taiwanesi continuano a rafforzare l’ecosistema locale instaurando rapporti sempre più stretti con le aziende di back-end (test e confezionamento) e con i fornitori di impianti e materiali di consumo, locali e internazionali.

Spiega ancora Chang: “Esistono importanti fornitori globali di apparecchiature per semiconduttori, come ASML, Applied Materials, LAM Research, ecc., che hanno tutti basi di servizio, centri di formazione e laboratori di ricerca e sviluppo a Taiwan. Sono stati portati qui da TSMC. A metà della catena industriale ci sono anche i produttori di apparecchiature locali: wafer di silicio, fornitori di gas, materie prime e così via. Un ecosistema che consente a TSMC ed alle altre fonderie del paese di avere un grado di efficienza e produttività unici al mondo”.

Tutto ciò ha consentito a TSMC di raggiungere le quote di mercato che abbiamo visto prima, diventando, come ribadito da Chang “Una importante montagna a difesa della nazione”.

Sicuramente nessuno, nemmeno Morris Chang, avrebbe mai immaginato che TSMC sarebbe diventata, oltre che la prima foundry al mondo, anche la migliore garanzia per la pace mondiale e l’indipendenza di Taiwan.