giovedì, Maggio 16, 2024
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STMicroelectronics investe in Cina dopo aver ricevuto miliardi di sussidi pubblici. Monta la polemica in Italia e Francia

Jean-Marc Chéry, Presidente e CEO STMicroelectronics (immagine STMicroelectronics).

È polemica dopo l’annuncio di STMicroelectronics di voler realizzare un nuovo impianto produttivo in Cina per la fabbricazione di dispositivi SiC dopo aver ricevuto sovvenzioni pubbliche miliardarie per i suoi impianti in Europa.

Dopo l’annuncio da parte di STMicroelectronics di voler costruire in Cina un impianto per la produzione di dispositivi SiC (in joint venture con la cinese Sanan) per un investimento complessivo di 3,5 miliardi di dollari, da più parti sono stati sollevati dubbi sulla opportunità e fors’anche sulla legittimità di questa iniziativa.

Le critiche non riguardano il fatto di voler condividere con i cinesi una tecnologia avanzata: la produzione di dispositivi SiC è sì una tecnologia innovativa ma, di fatto, esistono numerose aziende in tutto il mondo, Cina compresa, in grado di operare in questo settore.

La questione è un’altra.

STMicroelectronics ha ricevuto e si appresta a ricevere parecchi miliardi di sovvenzioni pubbliche e contributi vari da parte dei paesi della UE per realizzare nuovi impianti in Europa nel tentativo di riportare nel Vecchio Continente una produzione ritenuta strategica per l’economia europea e più in generale per gli equilibri geopolitici.

Con queste sovvenzioni, la maggior parte delle quali sono previste e regolamentate dall’European Chips Act, STMicroelectronics ha in programma di realizzare un nuovo impianto a Crolles (Francia) in collaborazione con GlobalFoundries; per questo impianto il governo di Parigi ha stanziato un contributo a fondo perduto di 2,9 miliardi di euro. In Italia, STMicroelectronics riceverà 292,5 milioni di euro per la fabbrica di substrati SiC che sta costruendo a Catania. In passato, ST ha ricevuto contributi per l’espansione dei siti produttivi di Agrate (MI) e di Crolles e Tours (Francia), oltre ad altri contributi a fondo perduto e prestiti vari per numerose altre iniziative.

STMicroelectronics utilizza e utilizzerà queste risorse per progetti che rientrano nei suoi piani di politica industriale e di sviluppo del business, pensando soprattutto a quella che sarà la capacità produttiva necessaria per un mercato – quello dei semiconduttori – che raddoppierà entro il 2030.



Se STMicroelectronics ha investito in Europa anziché in altre parti del mondo, è anche merito dei contributi pubblici ricevuti dalla UE.

Questi aiuti, tuttavia, hanno anche “fortificato” i bilanci dell’azienda italo-francese che ha conseguito un utile netto di quasi quattro miliardi di dollari nel 2022, cifra che è destinata ad aumentare ancora quest’anno. STMicroelectronics investirà gran parte di questi utili in nuovi impianti produttivi, con una spesa prevista per il 2023 di circa quattro miliardi di dollari.

Seguendo questo filo logico, è facile arrivare alla conclusione che le nuove capacità di investimento che ST sta per mettere in campo in Cina arrivano in parte anche dai contributi pubblici ricevuti dall’azienda in Europa.

In pratica, come temuto da qualcuno, le sovvenzioni dell’European Chips Act possono ritorcersi contro la stessa Europa, avvantaggiando quel sistema produttivo che si voleva in qualche modo emarginare.

Nell’European Chips Act, al contrario di quanto avviene negli USA, non esiste un meccanismo che impedisca alle aziende europee che hanno ricevuto sussidi pubblici di continuare ad investire fuori dall’Europa o, addirittura, in Cina.

Negli Stati Uniti, dopo l’approvazione del CHIPS Act, il Dipartimento del Commercio ha introdotto precise regole che impediscono alle aziende che hanno ricevuto sovvenzioni pubbliche di realizzare nuovi impianti produttivi in paesi come Cina, Russia o Corea del Nord e gli impianti che già esistono in quei paesi non potranno essere potenziati. Sarà permesso solamente un incremento della capacità produttiva del 5% se si tratta di impianti avanzati e del 10% nel caso di tecnologie meno recenti. Esiste anche un limite di spesa di 100 mila dollari per i nuovi investimenti in capacità avanzate.

Il CHIPS Act “è fondamentalmente un’iniziativa di sicurezza nazionale e queste limitazioni contribuiranno a garantire che gli attori maligni non abbiano accesso alla tecnologia all’avanguardia che può essere utilizzata contro l’America e i nostri alleati“, ha affermato in una nota il segretario al commercio Gina Raimondo. “Continueremo inoltre a coordinarci con i nostri alleati e partner per garantire che questo programma promuova i nostri obiettivi condivisi, rafforzi le catene di approvvigionamento globali e migliori la nostra sicurezza collettiva“.

Per questa ragione, ma anche per il fatto che l’azienda è partecipata dai governi italiano e francese con una quota del 27,5%, l’iniziativa di STMicroelectronics è destinata a diventare la nuova “patata bollente” per il governo italiano, già alle prese con il tentativo di fare uscire il nostro paese dall’accordo sulla Via della Seta e di fare tornare in Italia la maggioranza di Pirelli, attualmente controllata dalle cinesi Sinochem e Silk Road.

Questa inaspettata evoluzione della geopolitica dei chip che coinvolge il nostro paese non potrà non essere presa in esame dal Ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso che ha annunciato per la fine di questo mese la presentazione del Chips Act italiano, l’insieme di norme atte a “promuovere la progettazione e lo sviluppo di circuiti di circuiti integrati, rafforzare il sistema della formazione professionale nel campo della microelettronica e assicurare la costituzione di una rete di università, centri di ricerca e imprese che favorisca l’innovazione e il trasferimento tecnologico nel settore“.

Ci si aspetta anche una presa di posizione da parte della Commissione europea con eventuali precisazioni (o norme) sull’argomento, sulla falsariga di quanto previsto negli Stati Uniti.