Sono queste le previsioni di TrendForce, che segnala anche come Taiwan resterà strategica per la produzione di semiconduttori avanzati pur con una quota in calo al 58%.
Nonostante gli sforzi delle amministrazioni statunitensi e considerando anche i recenti annunci di TSMC riguardo a nuovi investimenti per 100 miliardi di dollari negli USA, TrendForce, società di consulenza e ricerche di mercato, segnala che la capacità produttiva degli Stati Uniti nel comparto dei chip avanzati (con nodo di processo ≤ 5 nm) passerà da una quota di mercato dell’11% nel 2021 al 22% nel 2030.
Questo risultato può essere interpretato da due prospettive differenti. Sicuramente, il raddoppio in dieci anni della capacità produttiva in questo settore è un fatto positivo per l’industria statunitense; tuttavia, se l’obiettivo era quello di evitare il pericolo di una catena di fornitura troppo sbilanciata verso l’Asia, non si può dire che questo rischio sia stato scongiurato. Entro il 2030, infatti, sempre secondo questa ricerca, Taiwan resterà ancora strategica per la fornitura di chip avanzati con una quota di mercato di ben il 58%, seppure in calo dal 71% del 2021.
Se per qualsiasi motivo questa capacità venisse meno, come nel malaugurato caso di un’invasione cinese dell’isola, tutto il sistema globale dei semiconduttori e l’industria mondiale dei prodotti elettronici (PC, smartphone, ecc.), che dipende dai chip prodotti a Taiwan (e in parte anche dalla Corea), ne verrebbe sconvolta.
Sicuramente, i nuovi investimenti per 100 miliardi di dollari annunciati da TSMC, che diventeranno operativi dopo il 2030, dovrebbero contribuire ad aumentare ulteriormente la quota di mercato americana. Restano tuttavia forti dubbi sulla reale fattibilità di questi investimenti, a partire dalle risorse umane disponibili negli Stati Uniti fino a possibili cambiamenti del quadro geopolitico globale. Un’invasione di Taiwan, ad esempio, comporterebbe, tra le altre conseguenze, l’azzeramento delle capacità finanziarie di TSMC.
Permangono inoltre incertezze sui costi di produzione, che faranno sicuramente lievitare il prezzo dei chip prodotti sul suolo statunitense, con tutte le relative conseguenze sui prodotti finali.
La tempistica effettiva per le fabbriche appena annunciate rimane incerta, senza un impatto immediato sul settore nel breve termine. Tuttavia, nel medio-lungo termine, le implicazioni sui costi e i potenziali aumenti dei prezzi lungo la catena di fornitura saranno fattori chiave da monitorare.
A nostro avviso, l’aspetto più significativo di questo report è lo stop alle ambizioni cinesi in questo settore, frutto delle restrizioni all’esportazione della tecnologia occidentale introdotte dalla prima amministrazione Trump e proseguite con Biden.
Secondo TrendForce, la capacità cinese in questo settore passerà dal 6% del 2021 al 5% nel 2030, a causa dell’impossibilità di accedere alla tecnologia EUV e delle forti limitazioni anche sulle macchine DUV più avanzate. Per di più, questa capacità è, e sarà, poco competitiva dal punto di vista economico a causa delle tecnologie utilizzate.
Resta, in ogni caso, la mina vagante della capacità produttiva cinese nei nodi maturi e nel settore delle memorie, con possibili ripercussioni su un importante pezzo dell’industria globale dei semiconduttori.