venerdì, Maggio 3, 2024
HomeIN EVIDENZAAnche Taiwan, l'isola dei chip, guarda con apprensione all'invasione dell'Ucraina

Anche Taiwan, l’isola dei chip, guarda con apprensione all’invasione dell’Ucraina

Sistema anticarro portatile Javelin FGM-148. Fonte: US Army

Il paese, considerato dalla Cina parte integrante del proprio territorio, teme che Pechino segua l’esempio di Mosca. E mentre gli analisti si interrogano sulle possibili conseguenze di un’invasione di Taiwan sull’economia mondiale, il governo dell’isola studia le strategie messe in campo dall’esercito ucraino.

Ci siamo occupati più volte in passato delle rivendicazioni della Cina sull’isola di Taiwan e delle conseguenze politiche ed economiche che comporterebbe una invasione del paese da parte della Cina.

Fin dalla sua nascita nel 1949, il governo della Repubblica Popolare di Cina, ovvero Pechino, reclama la sovranità sull’isola di Taiwan (o Formosa come la battezzarono i portoghesi), considerata una provincia ribelle, e separata dalla terraferma da una striscia di mare larga circa 150 chilometri.

Per quanti non conoscono o hanno dimenticato le vicende storiche di questa regione, ricordiamo che la creazione di uno stato indipendente sull’isola di Taiwan è la conseguenza della guerra civile che insanguinò la Cina dal 1946 al 1949 e che si concluse con la vittoria dei seguaci del Partito Comunista Cinese (PCC) guidati da Mao Zedong, che conquistarono l’intera Cina continentale e diedero vita alla Repubblica Popolare di Cina (PRC). I sostenitori del governo nazionalista di allora, guidati da Chiang Kai-shek, sconfitti e in rotta, si rifugiarono sull’isola di Taiwan, dove fondarono la Repubblica di Cina con capitale Taipei, affermando di rappresentare il governo legittimo dell’intera Cina.

Negli anni seguenti, nonostante vari incidenti e scontri spesso sanguinosi, si giunse ad una tregua di fatto tra i due contendenti, grazie anche alla presenza militare americana che aveva sostenuto Taiwan (e la Corea del Sud) al fine di contrastare l’espansionismo comunista.

Il resto è storia recente. Taiwan, grande come la Sardegna e la Corsica messe assieme e con una popolazione di circa 24 milioni di abitanti, è diventata una democrazia a tutti gli effetti e ha sviluppato un’economia che ha consentito al paese di raggiungere un livello di benessere paragonabile a quello dei paesi occidentali. La Cina, ovvero la Repubblica Popolare di Cina, è rimasta un paese autoritario, ma da quando si è aperta al libero mercato (nei limiti imposti dal Partito Comunista al potere) è stata protagonista di un fortissimo sviluppo economico diventando la seconda potenza al mondo dopo gli Stati Uniti, pur con un PIL pro capite che, ad oggi, è ancora un terzo di quello di Taiwan e un sesto di quello americano.

Negli ultimi decenni, il governo di Pechino, sfruttando il suo crescente peso economico e politico, è riuscito a farsi riconoscere dalla maggior parte degli Stati sovrani e dall’ONU quale unico governo legittimo della Cina. Persino gli Stati Uniti, pur continuando ad appoggiare Taiwan, hanno riconosciuto nel 1979 (amministrazione Carter) il governo di Pechino.

Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, considerata da Putin “cosa nostra”, crescono i timori che anche la Cina, approfittando dell’attenzione che si è spostata sullo scenario europeo, possa dare il via ad un’operazione militare per conquistare l’isola ”ribelle”, come la chiama Pechino.

Per il mondo Occidentale cui fa riferimento, Taiwan è doppiamente importante: per la posizione geografica e per il peso della sua industria dei semiconduttori.



L’importanza strategica dell’isola di Taiwan

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’isola di Taiwan fa parte di quella che viene definita la “prima catena di isole”, una sorta di enorme barriera corallina che circonda la Cina e che ne impedisce una facile proiezione militare verso l’Oceano Pacifico. Tutte le isole di questa cintura appartengono a paesi alleati degli Stati Uniti.

La Prima e seconda “catena di isole” al largo della Cina. Fonte: Catama (2015).

Se osserviamo la cartina di quell’area, notiamo una prima barriera naturale rappresentata dal Giappone; scendendo verso il basso, troviamo una serie d piccole isole (Okinawa, Ishigaki, ecc.) che appartengono al Giappone e che si estendono fino all’isola di Taiwan. Altre piccole isole si allungano dal sud di Taiwan fino alle Filippine a presidio dello stretto di Luzon.

Per controllare i movimenti della flotta cinese (ma anche del traffico mercantile diretto verso i porti cinesi, della Corea e del Giappone) è sufficiente, dunque, controllare questi pochi passaggi. Un vantaggio non da poco, specie in caso di conflitto.

L’annessione di Taiwan da parte della Cina aprirebbe una importante falla in questa cintura di contenimento, dando alla Cina libero accesso al Pacifico, tramite i porti della costa orientale dell’isola. Non che le navi della Cina non abbiano il diritto di solcare qualsiasi mare o oceano, cosa che del resto già fanno, semplicemente è una forma di cautela nei confronti di un paese autoritario, con l’attuale guerra tra Russia e Ucraina che dimostra quanto sia necessario diffidare dei paesi governati da questi regimi.

Ma forse più che per la posizione geografica, l’importanza strategica dell’isola di Taiwan riguarda l’aspetto economico, diventato sempre più cruciale da quando il paese si è trasformato nella fabbrica di chip del mondo.

Nell corso degli ultimi decenni l’isola è diventata una sorta di fabbrica mondiale per la produzione di chip: da Taiwan proviene il 64% dei chip realizzati per conto terzi che troviamo nei nostri PC, telefonini, automobili, server, elettrodomestici e apparecchiature medicali: tutti oggetti con cui abbiamo a che fare quotidianamente.

Addirittura i chip più avanzati (quelli con nodo di processo inferiore o uguale a 7nm) vengono prodotti solamente nelle fabbriche di Taiwan (TSMC) e della Corea del Sud (Samsung).

Fonte: IC Insights.

Naturalmente non esiste solo Taiwan e non esistono solo le fonderie; le IDM, ovvero aziende come Intel, Texas Instruments, STMicroelectronics o Renesas, che progettano e producono al loro interno la maggior parte dei propri chip, hanno ancora un peso notevole.

Considerando tutte le tipologie di chip e tutti gli stabilimenti sparsi per il mondo, i semiconduttori prodotti a Taiwan rappresentano il 21,4% dell’intera produzione mondiale di chip, e tutta l’area dell’Indo-Pacifico ricopre un ruolo di primaria importanza con la Corea del Sud al 20,4% e il Giappone al 15,8%.

Fonte: IC Insights.

La situazione è complicata dal fatto che nell’isola di Taiwan esiste anche una fortissima industria di test & packaging, utilizzata da molti produttori globali per confezionare i propri chip.

Un blocco delle forniture provenienti da Taiwan a causa di un conflitto, metterebbe in ginocchio l’economia mondiale, provocando una crisi molto più grave di quella del petrolio, dei subprime, degli attentati alle torri gemelle o del Covid-19.

Un altro problema, non di poco conto, potrebbe essere rappresentato dalla possibilità che la Cina si impossessi degli impianti produttivi di semiconduttori presenti sull’isola.



Da decenni è in corso un dibattito tra politici, analisti militari ed economisti sulla possibilità che gli Stati Uniti e suoi alleati possano intervenire militarmente a difesa di Taiwan a seguito di un attacco della Cina; l’atteggiamento delle varie amministrazioni USA che si sono susseguite nel corso degli anni è stato improntato alla cosiddetta “ambiguità strategica”, che da un lato considera la Repubblica Popolare come legittima rappresentante dell’intera nazione cinese e dall’altro riconosce la necessità di assistenza militare nei confronti di Taiwan, al momento con forniture militari e in futuro, in caso di invasione, forse anche con un intervento militare diretto (è questa la vera ambiguità strategica). Recentemente, la posizione interventista sembra aver guadagnato qualche punto in più, dopo la dichiarazione del presidente Joe Biden che, alla domanda se gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in difesa di Taiwan se la Cina avesse attaccato, ha risposto: “Sì, abbiamo un impegno a farlo“.

Per la Cina – che continua le manifestazioni di forza e le provocazioni nello stratto di Taiwan – al momento la vera linea rossa sembra rappresentata da una eventuale proclamazione di indipendenza da parte del Governo di Taipei: in un caso del genere l’invasione scatterebbe automaticamente.

Ma che fine farebbero gli impianti per la produzione di semiconduttori nel caso di invasione cinese?

Questo aspetto è stato affrontato recentemente in maniera non convenzionale da Jared McKinney dell’Air University e da Peter Harris dell’Università del Colorado che hanno pubblicato lo studio Broken Nest: Deterring China from Invading Taiwan che, in sostanza, suggerisce di minare gli impianti più importanti di Taiwan, per distruggerli in caso di invasione.

Secondo gli autori questa è la più sensata proposta politica per evitare una guerra su vasta scala tra Stati Uniti e Cina, un’azione che toglierebbe dalla contesa un boccone molto ambito dalla Cina. La strategia “Broken Nest” scatenerebbe una grave crisi economica in Cina, piuttosto che aiutare la sua industria a trarre vantaggio dalla conquista degli impianti high-tech di Taiwan. Secondo McKinney e Harris la distruzione di TSMC e UMC rappresenterebbe un “cocktail avvelenato” per un regime comunista che da sempre sostiene la stabilità economica.

Gli autori, tuttavia, hanno riconosciuto che il problema principale del piano proposto è quello di rendere credibile la minaccia per la Cina.

Secondo altri esperti, invece, la politica della ”terra bruciata” non preoccuperebbe più di tanto i cinesi, abituati ad agire pensando ai risultati sul lungo periodo.

L’unico aspetto che preoccupa la dirigenza cinese è la prospettiva di una guerra di lunga durata con gravi perdite a causa di una forte resistenza da parte di Taiwan.

Ed è proprio alle perdite russe e all’andamento del conflitto tra Russia e Ucraina che guardano con grande interesse in questi giorni i dirigenti politici e militari di Taiwan. Un interesse dettato dal fatto che, come in Ucraina, molto probabilmente un’eventuale invasione dell’isola non vedrebbe un intervento diretto dei paesi del fronte occidentale, USA e Giappone in primis, per il timore di scatenare la terza guerra mondiale.

In altre parole, i taiwanesi dovrebbero fare da soli, e quanto avviene in Ucraina in questi giorni sembra offrire numerose utili informazioni, sul piano strategico e militare, su come difendersi da un’aggressione cinese.

La guerra asimmetrica

Nel paese, e con gli alleati, si discute sempre di più di guerra asimmetrica, sull’esempio ucraino, dove l’impiego di armi individuali, anticarro e antiaeree, diffuse capillarmente sul territorio, sta rallentando l’avanzata dell’esercito russo, costringendo l’invasore a bombardamenti indiscriminati per conquistare le principali città del paese. Anche l’impiego di piccoli droni, come i turchi Bayraktar TB2 e l’utilizzo di sistemi anticarro smart come gli Stugna-P, fabbricati in Ucraina e comandati a distanza, sta attirando l’attenzione degli osservatori taiwanesi.

Sistema antiaereo MANPADS (Man-Portable Air-Defense System) Stinger FIM-92 in dotazione all’esercito di Taiwan.

Di grande importanza è anche il supporto di intelligence garantito all’esercito ucraino dai satelliti spia e dagli aerei della NATO che, dai confini del paese, in territorio polacco e rumeno, controllano i movimenti delle truppe russe. Da segnalare anche le attività nel cyberspazio, dove l’impegno dei paesi occidentali a favore dell’Ucraina è fortissimo e può contare sull’appoggio delle digital-company americane, da Microsoft a Google.

La forte resistenza dell’Ucraina contro la Russia è la prova che Taiwan potrebbe contrastare la Cina in caso di conflitto, ha dichiarato venerdì scorso l’ex capo di stato maggiore USA Michael Mullen in visita a Taiwan.

Per questo motivo, insieme ai sistemi d’arma più tradizionali, gli Stati Uniti intendono aumentare la fornitura di armi individuali anticarro e antiaeree.

Tra i sistemi d’arma tradizionali, gli Stati Uniti stanno fornendo a Taiwan 100 sistemi missilistici antinave terrestri con 400 missili RGM-84L-4 Harpoon II, quattro missili da addestramento RTM-84L-4 Harpoon II, 100 lanciatori mobili e 25 camion radar per un valore di 2,37 miliardi di dollari.

A causa di questa fornitura, il mese scorso, Pechino ha sanzionato le società americane Lockheed Martin e Raytheon, ree di aver fornito le armi a Taiwan.

Stanno per arrivare nell’isola anche gli avanzati carri armati Abrams MBT con una migliore protezione ed in grado di resistere ad attacchi nucleari, biologici e chimici (NBC).

Per quanto riguarda le armi portatili, Taiwan sta per ricevere 400 sistemi anticarro Javelin FGM-148 ”fire-and-forget” ordinati l’anno scorso per un valore di 111,71 milioni di dollari; alla luce di quanto sta avvenendo sul campo in Ucraina, sembra che il governo di Taipei stia trattando per una nuova fornitura, insieme ad altri sistemi antiaerei FIM-92 Stinger.

In questi giorni si sta anche discutendo sulla possibilità di creare a Taiwan una forza di difesa territoriale come hanno fatto gli ucraini, composta da soli volontari, giovani uomini e donne addestrati e preparati a difendere i luoghi in cui vivono.

Una forza di difesa territoriale adeguatamente organizzata, addestrata ed equipaggiata, impiegata per condurre un’insurrezione prolungata, rende molto più difficile stabilire ed esercitare il controllo del territorio e della popolazione.

La prospettiva di dover condurre una guerra prolungata convincerà il potenziale aggressore che è improbabile che un’invasione funzioni al prezzo considerato accettabile.

E se la deterrenza di simili iniziative non avrà effetto, una campagna di difesa territoriale può raccogliere il sostegno internazionale e guadagnare tempo per l’intervento di forze esterne.

Tutti i popoli, e i cittadini taiwanesi non fanno eccezione, sono più disposti a difendere le proprie case e le proprie famiglie, che è esattamente ciò per cui le forze di difesa territoriale sono organizzate, addestrate ed attrezzate. Vediamo questo fenomeno in atto in Ucraina: i normali cittadini ucraini sono senza dubbio più determinati a proteggere le loro comunità rispetto ai soldati russi che devono prenderle e occuparle. Questa netta asimmetria di determinazione ha galvanizzato il sostegno all’Ucraina in patria e all’estero.

In effetti, Taiwan può acquistare tutte le armi americane che vuole. Ma nulla proietta un segnale di detterrenza più potente che un popolo pronto a pagare qualsiasi prezzo per proteggere la propria terra.

Sempre a proposito di una possibile invasione cinese, va segnalato un documento diffuso nei giorni scorsi dall’intelligence di Taiwan secondo il quale un’invasione dell’isola era stata programmata per l’autunno di quest’anno. Tuttavia, l’inaspettato andamento della guerra in Ucraina avrebbe convinto il presidente Xi Jinping ad annullare l’operazione.

Considerazioni finali

Vogliamo concludere questo articolo con un’ultima considerazione, apparentemente banale, ma che sintetizza il significato di questa e altre vicende simili: se la Cina fosse un paese democratico, in grado di garantire un vero pluralismo politico e le libertà fondamentali della persona, ad incominciare da quella di manifestare le proprie idee, sicuramente sarebbero gli stessi taiwanesi a sostenere per primi una riunificazione tra i due paesi.