venerdì, Ottobre 3, 2025
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Dopo la presentazione della trimestrale, STMicroelectronics perde il 16,63% in borsa. Il confronto impietoso con i competitor

STMicroelectronics Q2 2025
Jean-Marc Chéry, CEO e Presidente di STMicroelectronics.

Bisogna risalire al Q1 2016 per trovare una trimestrale in perdita. Neppure durante il periodo del Covid STMicroelectronics ha chiuso un trimestre in rosso. E le prospettive per il Q3 e il resto dell’anno non sono incoraggianti, specie sul fronte dei margini, ancora troppo bassi.

Questa settimana, tre dei più importanti produttori globali di semiconduttori, operanti nei comparti analogico, embedded e di potenza, hanno diffuso i risultati finanziari del secondo trimestre 2025. Se per alcuni il quadro mostra incoraggianti segni di ripresa, per STMicroelectronics la situazione appare decisamente più complessa, con il titolo che ha subito un pesante calo in borsa.

Lunedì è stata la volta di Texas Instruments, che ha registrato una crescita consistente del fatturato, raggiungendo quota 4,45 miliardi di dollari (+16% su base annua), e degli utili, che hanno toccato 1,3 miliardi (+15% su base annua).
Martedì è toccato a NXP Semiconductors, che ha messo a segno vendite per 2,9 miliardi di dollari (-6% su base annua) con un utile netto di 445 milioni di dollari (-32% su base annua).

Questa mattina, a diffondere i risultati è stata proprio STMicroelectronics. L’azienda ha registrato ricavi pari a 2,77 miliardi di dollari (-14,4% su base annua) e, per la prima volta in quasi un decennio, una perdita netta di 97 milioni di dollari. Un anno fa, nello stesso periodo, l’azienda aveva riportato un utile netto positivo di 353 milioni di dollari, mentre due anni fa l’utile era stato di un miliardo tondo.

Una perdita storica e prospettive poco incoraggianti

Per trovare una trimestrale in perdita per STMicroelectronics bisogna risalire al Q1 2016 (allora si trattò di 41 milioni di dollari su un fatturato di 1,6 miliardi). La perdita registrata quest’anno assume un significato ancora più significativo se si considera che neppure durante il periodo del Covid l’azienda aveva chiuso un trimestre in rosso.

Già nel primo trimestre 2025, ST ha chiuso il periodo con un utile quasi azzerato. Ora, con la perdita di 97 milioni e le previsioni per il Q3, che a fronte di un incremento del fatturato stimano un utile finale positivo solo per una manciata di milioni, il quadro complessivo non è per nulla incoraggiante.

Non a caso, oggi, i mercati hanno punito pesantemente il titolo che alla borsa di Milano ha chiuso le contrattazioni a quota 22,48 euro, in calo del 16,63%.



Ci siamo già occupati in diverse occasioni della crisi di ST e del raffronto con i principali competitor. Abbiamo segnalato come negli ultimi anni le strategie della multinazionale italo-francese non siano state all’altezza della fase negativa che ha investito questo comparto. E, purtroppo, i risultati del primo semestre del 2025 hanno confermato i nostri timori. Certamente ad appesantire i conti della società negli ultimi due trimestri ci sono stati dei fatti oggettivi, come il rapporto di cambio euro/dollaro, ma ciò non può nascondere le carenze strategiche.

La reazione della società e le sue contraddizioni

Come ha reagito la società a questa crisi che dura ormai da 18 mesi?

Sul fronte degli investimenti e delle iniziative produttive, STMicroelectronics sta cercando di accelerare la transizione dai 200 ai 300 millimetri per quanto riguarda il silicio (siti di Agrate e Crolles) e la creazione di una produzione integrata verticalmente con focus sui 200 millimetri per quanto riguarda il carburo di silicio (sito di Catania). Il tutto con importanti sussidi pubblici.

Contemporaneamente, la società sta cercando di creare un ecosistema produttivo in Cina per servire meglio quel mercato, con investimenti e partnership nel settore del carburo di silicio (Sanan), del silicio (Hua Hong) e del nitruro di gallio (Innoscience). Secondo l’azienda, l’impegno in Cina è una scelta obbligata per riuscire a mantenere le (importanti) quote che ST vanta in quel mercato, a maggior ragione dopo che il governo di Pechino ha recentemente “invitato” i produttori locali di automobili a fare sempre più ricorso ai produttori cinesi di chip.

È evidente, tuttavia, che lo spostamento di parte della produzione in Cina non può che avere effetti negativi sulla capacità produttiva dei siti di Agrate e Crolles, dove è in corso una difficile transizione tecnologica con ricadute anche da un punto di vista occupazionale.

Ed è principalmente sulla riduzione dei costi – basata in gran parte sul taglio del personale – che l’azienda intende recuperare marginalità nei prossimi mesi, aprendo uno scontro con i sindacati (già in atto) e con la politica.

Ed ora, potrebbe ora quella stessa politica che ha approvato i sussidi alla società per aumentare l’occupazione in Italia e Francia e l’indipendenza tecnologica europea a chiedere conto a chi ha guidato la società negli ultimi anni dei licenziamenti annunciati e, nei fatti, dell’aiuto alla crescita tecnologica ed economica della Cina, che si avvia a diventare il più pericoloso avversario per i produttori europei di semiconduttori.

In considerazione di tutto ciò, e dopo una debacle del genere e le prospettive poco incoraggianti per il 2025, un passo indietro dell’attuale management sarebbe auspicabile.