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L’inizio dei lavori era previsto per la fine del 2025, ma al momento nei terreni dove doveva sorgere il cantiere continua a crescere l’erba. E questo nonostante la nomina del sindaco di Novara, Alessandro Canelli, nel ruolo di commissario straordinario per l’insediamento e la definizione del progetto di “preminente interesse strategico” per il nostro Paese.
Annunciato come un investimento rivoluzionario per l’Italia, il progetto di SILICON BOX, l’unicorno di Singapore specializzato in advanced packaging e chiplet integration, prevede la realizzazione a Novara di una fonderia per il packaging e il test di sistemi basati su chiplet. L’investimento ammonta a 3,2 miliardi di euro di spesa in conto capitale e circa 4 miliardi di Opex in 15 anni, con la creazione di 1.600 posti di lavoro diretti e altri 1.000 nell’indotto legato alla costruzione degli impianti.
L’obiettivo dichiarato è coprire fino al 5% del mercato globale del packaging avanzato, contribuendo alla sicurezza dell’approvvigionamento di semiconduttori in Europa nel quadro dell’EU Chips Act. L’impianto è cruciale perché non si occupa della produzione di wafer (il cosiddetto front-end), ma del confezionamento avanzato (advanced packaging) dei chiplet. Questa fase, il back-end, è diventata strategica quanto la produzione dei chip stessi, poiché permette di integrare componenti diversi in un unico sistema ad alte prestazioni (come i chip AI) e rappresenta un anello fondamentale per l’obiettivo di autonomia tecnologica stabilito dal Chips Act Europeo.
Sul fronte regolatorio, la Commissione europea ha approvato a fine 2024 il contributo pubblico fino a 1,3 miliardi di euro a sostegno dell’impianto novarese, riconoscendo il progetto come “primo del suo genere” in Europa e chiarendo che, senza aiuti, l’investimento non si sarebbe realizzato nel continente. Nel 2025 sono poi arrivati due altri tasselli fondamentali: la scelta del sito di Agognate come localizzazione definitiva dell’impianto e la nomina del sindaco di Novara, Alessandro Canelli, come commissario straordinario con poteri di autorizzazione unificata per accelerare l’iter dei permessi. Nel frattempo, il progetto veniva dichiarato di “preminente interesse strategico” per l’Italia.
SILICON BOX: startup, non colosso, ma con un impianto già operativo
Un elemento spesso sottovalutato nel dibattito pubblico è la natura della stessa SILICON BOX. Non si tratta di un gruppo storico come TSMC o Intel, ma di una realtà fondata a Singapore nel 2021 da tre figure di primo piano del settore – BJ Han, Sehat Sutardja e Weili Dai – con un forte pedigree legato, tra l’altro, alla storia di Marvell Technology e di STATS ChipPAC.
L’azienda ha aperto il suo primo stabilimento a Tampines (Singapore), dedicato al panel level packaging, con produzione in serie dalla fine del 2023. A metà ottobre 2025 ha annunciato di aver già spedito 100 milioni di unità, con rese prossime al 99,7% su scala pannello, e di essere sulla traiettoria per raggiungere la piena capacità entro il 2028. Lo stesso comunicato sottolinea che il sito europeo di Novara – “più grande di quello di Singapore” – dovrebbe entrare in produzione nel 2028, replicandone la capacità e portando in Europa anche i test nativi per chip destinati ad AI, HPC, automotive e mobile.
SILICON BOX è sostenuta da un gruppo di investitori di peso – tra cui Hillhouse Capital, Lam Capital (braccio di Lam Research), TDK Ventures, UMC Capital e Tata Electronics – e ha superato nel 2024 la soglia di unicorno (valutazione oltre il miliardo di dollari). Tuttavia, resta pur sempre una startup che sta scalando molto rapidamente, chiamata a reggere un investimento europeo di dimensioni paragonabili a quello del suo impianto principale.
Sul campo, però, nessun cantiere: il “fantasma” di Agognate
Se sulla carta il progetto procede, sul territorio la fotografia è ben diversa. Un’inchiesta del giornale La Voce di inizio novembre descrive Agognate come un’area ancora completamente ferma: nessuna recinzione di cantiere, nessuna ruspa, nessun cartello lavori, nonostante gli annunci iniziali che parlavano di avvio dei lavori nella seconda metà del 2025.
Lo stesso articolo ricorda come il memorandum con SILICON BOX prevedesse la definizione dei dettagli entro la prima metà del 2025; a oggi, però, nessun accordo definitivo è stato reso pubblico e il progetto appare sospeso. Il governo continua a definirlo vivo e strategico, ma sui campi continua a crescere l’erba. Anche il fatto che il commissario straordinario sia stato nominato soltanto a fine febbraio 2025, quando la procedura di aiuto di Stato era già in corso a Bruxelles, ha compresso i tempi operativi effettivi per l’ottenimento dell’“autorizzazione unica” e, di conseguenza, per l’apertura del cantiere. Sta di fatto che i tempi per l’avvio del cantiere continuano a slittare, alimentando lo scetticismo locale e nazionale.
Le difficoltà dietro il ritardo
Le cause dello stallo non sono riconducibili unicamente alla burocrazia italiana, locale e nazionale, ma a ostacoli finanziari e a un possibile cambio di prospettiva richiesto dal Governo.
Nonostante sia una startup, SILICON BOX deve comunque assicurarsi una combinazione coerente di capitali privati, impegni di fornitura da parte dei clienti e certezza sui tempi della burocrazia locale. L’autorizzazione UE agli aiuti di Stato è una condizione necessaria, ma non sufficiente: restano da chiudere i contratti attuativi con lo Stato (tramite Invitalia), e da definire il perimetro esatto delle tranche di finanziamento.
Le indiscrezioni giornalistiche suggeriscono che il blocco sarebbe proprio di natura finanziaria: SILICON BOX non sarebbe ancora riuscita a fornire le garanzie bancarie necessarie per accedere ai fondi e dimostrare la copertura della parte di investimento a suo carico (circa 1,9 miliardi di euro). Senza la certezza della copertura finanziaria privata, l’Italia non può sbloccare la quota di supporto pubblico.
Ci sarebbe poi una presunta richiesta da parte del Governo italiano affinché SILICON BOX si trasformi da semplice fornitore di servizi di packaging in un partner azionario di una futura newco italiana. Questa mossa, finalizzata a legare maggiormente l’azienda al territorio e garantire al Paese un maggiore controllo strategico sul progetto, avrebbe rallentato ulteriormente le trattative, spiazzando l’azienda di Singapore.
Secondo altre fonti, invece, il vero problema non è tecnico o economico, ma politico-burocratico, nella migliore tradizione del nostro Paese. Il progetto si sarebbe impantanato nella cosiddetta “palude romana”: ritardi nelle decisioni, sovrapposizioni di competenze e conflitti interni. In particolare, il rapporto tra Invitalia (l’agenzia italiana incaricata di seguire lo sviluppo dell’intervento) e MIMIT (il ministero competente per l’industria e le tecnologie) sarebbe conflittuale. La nomina del commissario straordinario (il sindaco Canelli) avrebbe dovuto semplificare l’iter, ma secondo alcune fonti le tensioni tra i due enti centrali — su supervisione, autorizzazioni e assegnazione delle tranche di finanziamento — continuano a rallentare il processo.
A tutto ciò bisogna aggiungere un momento di squilibrio della domanda di semiconduttori globale: mentre la richiesta di chip più avanzati è elevatissima, in alcuni segmenti di mercato si registra una forte volatilità della domanda (soprattutto per l’elettronica di consumo e l’automotive), con molte aziende che stanno ricalibrando tempi e dimensioni dei progetti annunciati nel pieno dell’euforia post-pandemica. In Europa, in particolare, Intel ha cancellato i suoi investimenti in Germania e Polonia, Wolfspeed ha congelato la fabbrica da 3 miliardi in Germania, Broadcom ha cancellato in Spagna un investimento da 1 miliardo di dollari, mentre l’impianto ST di Crolles in Francia è stato ridimensionato dopo il passo indietro di GlobalFoundries. Un ulteriore fattore è rappresentato dalla competizione globale per attrarre investimenti: Stati Uniti e Asia continuano a muoversi con tempi rapidi e pacchetti di incentivi estremamente aggressivi, mentre l’Europa – Italia compresa – sconta spesso tempi autorizzativi più lunghi, sovrapposizione di livelli istituzionali e una percezione di maggiore incertezza normativa.
La posizione ufficiale: “Progetto Vivo”, ma senza nuove date
Dal lato istituzionale, il messaggio resta prudenzialmente ottimistico. Fonti vicine al MIMIT parlano di contatti “costanti e positivi” tra SILICON BOX, Invitalia e le autorità italiane, ribadendo che l’investimento mantiene la qualifica di progetto strategico per il Paese. Anche la stessa SILICON BOX, nelle comunicazioni ufficiali di ottobre 2025, continua a indicare il sito di Novara come secondo stabilimento produttivo, con avvio della produzione nel 2028 e piena capacità prevista entro il 2033, in linea con la roadmap originaria. Manca però, al momento, un aggiornamento pubblico su due punti chiave: la data realistica di apertura del cantiere e la firma dell’accordo esecutivo che traduca in impegni vincolanti il quadro politico e regolatorio definito nel 2024–2025.
Cosa significa per la filiera italiana dei semiconduttori
Il rallentamento del progetto SILICON BOX arriva in un momento in chiaroscuro per l’industria italiana dei semiconduttori.
Mentre STMicroelectronics sta uscendo lentamente da un periodo di gravissima crisi, riducendo peraltro gli investimenti in Francia e Italia, altre realtà come MEMC-GlobalWafers e Technoprobe stanno vivendo un periodo di forte espansione. La prima si avvia a diventare il primo produttore europeo di wafer da 300 mm, mentre la seconda sembra trarre grande beneficio dal boom dell’intelligenza artificiale e si prepara ad aumentare la capacità produttiva, in Italia e all’estero, per fare fronte alle richieste di sistemi di test per le memorie HBM e i chip AI, dopo aver stabilito importanti partnership con Advantest e Teradyne, le aziende leader del settore ATE. Un ruolo sempre più marginale sembra invece rivestire LFoundry, l’unica fonderia di semiconduttori italiana, peraltro controllata al 100% da una società cinese.
In questo contesto, l’arrivo di SILICON BOX avrebbe portato nel nostro Paese e in Europa una tecnologia di frontiera – il panel level packaging per architetture a chiplet – con una filiera in gran parte nuova e una forte componente di know-how asiatico. Il fatto che, a fine 2025, nel sito scelto non si vedano ancora tracce di lavori non significa che il progetto sia cancellato, ma indica chiaramente che la fase di esecuzione è più complessa e lenta del previsto. Nel frattempo, il rischio è duplice: da un lato, perdere credibilità agli occhi degli investitori internazionali; dall’altro, alimentare sul territorio aspettative che, se disattese, lasciano spazio a disillusione e sfiducia verso le grandi operazioni annunciate a colpi di conferenze stampa.
Tre possibili scenari (per ora)
Alla luce delle informazioni disponibili, si possono delineare – con tutte le cautele del caso – tre traiettorie possibili:
- Ritardo significativo ma progetto confermato. Silicon Box mantiene l’impianto di Novara come secondo pilastro industriale dopo Singapore, ma ricalibra la tabella di marcia: cantiere aperto più tardi del previsto, avvio produzione post-2028, magari con un ramp-up più graduale.
- Ridimensionamento o phasing dell’investimento. L’impianto europeo viene realizzato in fasi, con una prima tranche di capacità più contenuta e successive espansioni condizionate all’andamento del mercato e al riempimento delle linee esistenti.
- Ripensamento più profondo. Lo scenario al momento meno probabile ma non impossibile: in caso di peggioramento duraturo del contesto macro o di difficoltà nel fundraising, SILICON BOX potrebbe rivedere la propria strategia europea, rinviando a tempo indeterminato o rinegoziando pesantemente l’insediamento.
Al momento, nessuna di queste ipotesi è confermata ufficialmente. Ma il fatto che, a un anno dal via libera UE agli aiuti e a pochi mesi dalla nomina del commissario straordinario, nell’area di Agognate cresca ancora l’erba è un segnale che non può essere ignorato.
Un test di credibilità per l’Italia del Chips Act
Il caso SILICON BOX non riguarda soltanto Novara o il Piemonte, ma è un banco di prova per la capacità dell’Italia di trasformare in realtà i grandi annunci del Chips Act europeo. Se il progetto dovesse decollare, portando davvero in Piemonte una fabbrica di packaging avanzato per chiplet, il Paese potrebbe posizionarsi in un segmento chiave della catena del valore dell’AI e dell’HPC, complementare alle iniziative su front-end e materiali di potenza. Se invece il progetto dovesse restare bloccato a lungo o ridimensionarsi drasticamente, il rischio è che SILICON BOX diventi l’ennesimo simbolo di un’Europa che annuncia molto e realizza poco – e che l’erba che cresce ad Agognate diventi la metafora di un’opportunità che sfuma, centimetro dopo centimetro.



